sabato 12 ottobre 2024

Neurotipici per scherzo

Una delle cose più dolorose dell’essere Asperger per me, ma penso per molti altri, è dovermi mascherare per adeguarmi alla società e alle persone che ho intorno. Vero che lo fanno un po’ tutti, chi più chi meno, penso per il discorso ancestrale del volersi sentire parte del gruppo, perché i primi umani, se si isolavano dagli altri venivano sbranati dagli animali più feroci. Solo che ora non viviamo più nella Preistoria e se ci isoliamo, non ci sbrana nessuno. Anzi, semmai il contrario… perché, mentre si è intenti a fare masking per essere accettati dal gruppo, quello stesso gruppo si nutre, giorno dopo giorno, di pezzetti della nostra anima. E nessuno poi ce la restituisce. Dobbiamo ritornare a noi stessi da soli, prima di perderci completamente.

Capita di fare masking anche con le persone più vicine, magari senza nemmeno esserne troppo consapevoli, da quanto è diventato automatico negli anni. Ad un certo punto, nella nostra vita, smettiamo di essere noi stessi, chi prima e chi dopo. Diciamo che lo sforzo di un asperger per sembrare “come gli altri” è spesso spropositato, in quanto le peculiarità possono essere anche molto diverse dalla media.

Da bambina imitavo perfettamente Spank, il cagnolino bianco con le orecchie nere dei cartoni animati. Mio padre, probabilmente temendo che sarei stata sfottuta all’infinito a scuola, mi impose con la forza di smetterla subito di farlo. In realtà stava già emergendo il mio futuro amore per la recitazione… per fortuna, poi, ho trovato il modo di non reprimere totalmente i miei piccoli talenti.

Ma spesso, successivamente, ho cominciato a adattarmi a ciò che facevano gli altri, per non sentirmi esclusa o, peggio, venire presa in giro, con il risultato di essere perennemente sovraccarica, sensorialmente ed emotivamente. Ad esempio, siccome tutti i miei compagni, o quasi, facevano sport dopo scuola, cominciai anch’io. Ma cambiavo uno sport ogni due mesi, perché mi stancavo all’inverosimile, dopo 8 o 6 ore di attività didattiche sotto i neon che mi laceravano gli occhi e le urla dei compagni che mi trapanavano il cervello, oltre alla perenne lotta per restare seduta ad ascoltare insegnanti, molte volte, demotivati che spiegavano con tono monocorde concetti che non riuscivano a rendere interessanti a una mente iperattiva come la mia. La mia soglia dell’attenzione, da uno a dieci, era spesso intorno al 2 e imparavo le cose a modo mio. Se fissavo l’insegnante in modo intenso, in realtà non stavo ascoltando nemmeno una parola, se invece scarabocchiavo sul libro era molto più probabile che, invece, fossi attenta.

Ultimamente ho smesso anche di andare ai concerti, ad esempio, perché mi sono resa conto che ci andavo controvoglia, solo per stare con gli amici e non deludere quelli più stretti. Siccome non reggevo tutta quella gente, il rumore e le luci, bevevo troppo così ridimensionavo il problema. Crescendo ho cominciato ad usare i tappi, fino a dirmi “ma perché continuo a sforzarmi di fare cose che non voglio fare?”.

Una persona, quando è piccolina, vuole dirti cosa preferisce, quali sono i suoi gusti, per affermare se stessa. Ma se gli aspie, spesso, saltano questo passaggio per adattarsi agli altri, poi che ne sarà di loro?

Che ne sarà di noi?

Negli ultimi anni, infatti, per me è stato un tema centrale quello di voler smettere di nascondermi. Ne sentivo l’esigenza assoluta. E ci sto riuscendo, piano piano ci sto riuscendo. Questo implica che mi stanco molto meno di prima nel fare le cose. Ho imparato e sto imparando a non tradirmi, non camuffarmi, ma semmai omettere. Prima dicevo tutto a tutti, raccontavo cose anche personali facilmente, negli ultimi anni sono gradualmente diventata più selettiva. C’è stato anche un periodo in cui dicevo di essere aspie al lavoro, ma non serviva a nulla, se non ad essere guardata con grossi punti interrogativi (“asperger chi, cosa?”) oppure con ammirazione (del tipo “ah, quindi potete camminare e parlare come noi!”) fino alla reazione apparentemente più bella, ma invece più terribile (“dai, però non si vede che sei asperger!”). L’ultima reazione mi è capitata più volte, persino di sentirmela dire da gente che lavora nel settore… e la mia risposta era “ma perché, secondo te, dovrei essere felice che non si veda? Perché non è certo motivo di vergogna”.

Non si vede che sei asperger, sembri solo strana.

E’ un po’ come andare da un marocchino, che magari è mulatto chiaro, e dirgli “dai, però non si vede che sei africano, sembri solo meridionale”.

Questo era un po’ il punto. Poi, in alcuni casi, chiedevo “ma parli con cognizione di causa?”

“Cioè?”

“Immagino tu sappia cosa sia la neurologia Asperger, dato che mi dici che non si vede”

“Ah… no… cioè… ne ho sentito parlare”

Sottotesto, me l’hai detto per farmi un non richiesto “complimento” a caso.

In conclusione, poi, ci son stati quelli che mi trattavano come un Panda da salvare. Forse, in effetti, sono i peggiori.

A volte mi ci sono pure sentita “Panda da salvare”, quindi è anche causa mia, eh.

Ma la verità è che gli aspie sono diversi. Anche molto. E tutte le mille “stranezze” per il mondo neurotipico, per noi non lo sono. Per me uno che ha stereotipie, non riesce a stare fermo, parla da solo e cammina per casa in modo convulso quando è emozionato, non ti guarda negli occhi in certe situazioni, insegue le farfalle o i gatti, emette suoni, usa le cuffie ovunque o mette gli occhiali da sole anche al buio, crea 20 profili diversi sui social, si immagina di essere qualcun altro, vive nel mondo della fantasia, imita i cartoni animati oppure i film e mille altre cose diverse che ora non mi vengono in mente e, semmai, ancora non conosco… per me semplicemente non è strano. Non ci vedo niente di eccentrico né strano, e questo perché, da sempre, sono andata verso persone neurodivergenti, in un modo o nell’altro. Perché le persone “normali” mi facevano paura.

Poi so che ci sono tante particolarità nei cosiddetti “neurotipici” e ognuno di noi è unico. Esistono anche molti neuro-atipici, alcuni dei quali sono persone a cui tengo. Ma è indubbio che, parlando di noi aspie, il masking sia davvero rischioso. Perché, se fossimo senza filtri, come da bambini, forse rischieremmo di venire bullizzati di nuovo (praticamente chiunque sia nello spettro autistico credo sia stato bullizzato per un periodo; almeno tutti quelli con cui ho parlato o di cui ho letto). L’alternativa è diventare forti mostrando le proprie fragilità e affermando se stessi, un giorno alla volta. Perché non è giusto vergognarsi solo perché si fa parte di una minoranza, solo perché qualche piccolo bastardo ci ha rovinato gli anni della scuola oppure perché non siamo stati capiti, quindi evitati, attaccati, giudicati, messi in ridicolo e via dicendo. Bisogna trovare qualcuno che per noi sia un porto sicuro in cui poterci mostrare senza imbarazzo, sapendo di venire accolti; e imparare, con tutti gli altri, non a mascherarsi, ma semplicemente ad omettere delle parti, mostrarne solo alcune, senza necessariamente snaturare il proprio comportamento per sembrare come la maggioranza.

Che poi anche la maggioranza finge, solo che fanno meno fatica di noi e il dispendio emotivo ed energetico è nettamente inferiore, di conseguenza anche i danni che ci si procura sono decisamente meno drammatici e gravi.

Think about it!

#aspie #masking #sindromediasperger

 



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