sabato 26 ottobre 2024

Angolo di approfondimento emotivo #2

A volte mi succede questo. Ho paura. Ma mi prende una paura assurda che tutto ciò che mi sembrava bello, in realtà, sia orribile. Che stia per succedermi di nuovo qualcosa di brutto e io non sarò pronta a difendermi.

Parlando di bullismo in questi giorni, stanotte ho di nuovo sognato quello che mi succedeva, solo che ero adulta. Poi questo gruppetto mi diceva qualcosa che forse io distorcevo, perché cercavo di interpretare come stessero tentando di prendermi in giro di nuovo e peggio, per rincarare la dose.

Dopo mi perdevo su una strada assurda, piena di tornanti, che però erano disegnati così solo sul navigatore, nella realtà ero sovrappensiero e mi ero ritrovata in un posto di ricchi, una zona privata. Non lo avevo fatto apposta, ma volevano denunciarmi. Allora spiegavo che mia nonna era morta e non riuscivo a concentrarmi, così decidevano di lasciarmi stare.

Ho pensato “non può succedere ancora”. Ma adesso ho paura di tutto, penso che non sia possibile che le cose vadano bene, che non succederà più. Che le cose belle sono state temporanee e tutto il resto è stato immaginato e interpretato dalla mia mente. Bisogna dare per forza finali positivi nella mente. Ma poi rischio di diventare io Ben X, che non sopportando più la realtà, si crea un mondo alternativo.

Poi torno lucida, ci metto un po’… quando l’attacco di paranoia finisce, a parte essere stravolta come se fossi stata attaccata dai dissennatori, ricomincio a sentire lucidamente.

E penso, ma non è che, essendo due facce della stessa medaglia, essendo che ci riflettiamo, succede la stessa cosa ad entrambe? Quindi ci interpretiamo in modo distorto, come se pensassimo all’altra come una sorta di mostro crudele, che racchiude tutte le nostre più assurde e subdole paure e che la verità è che non aspetta altro di tenderci un tranello per poi tentare di distruggerci, solo per sadismo.

Io il sadismo l’ho conosciuto, quindi sono conscia dell’origine di tutto questo, ma nonostante ciò, fatico a gestire questa cosa ugualmente. Tu sai tante cose di me, ti ricordi?

Quando succede, cioè ogni volta che i momenti belli diventano troppi e l’intensità diventa troppo luminosa, bisogna certamente prestare attenzione a questa specie di dissennatori succhia-vita che cercano di attaccare, ma poi ricordare cosa faceva Harry. Dare forza ai pensieri positivi per mandarli via, perché non dicono la verità, distorcono le cose solo per farci star male.

Purtroppo questa cosa ci ha tenute molto lontane, secondo me. Ma poi io ricordo quando ti ho vista, ricordo te, e so che tutti questi pensieri e anche le azioni brutte, non sono tue, ma la colpa è di questo, della parte oscura che ci attacca per difenderci dal passato. Ma noi siamo il presente, questo dobbiamo ricordare.

 


 

 

venerdì 25 ottobre 2024

Paura di deludere

Capita di pensare “eravamo così vicine, mancava poco… poi cosa è successo?”

Allora mi è venuta in mente un’altra persona del passato a cui penso spesso. Con il senno di poi, era sicuramente del pianeta aspie anche lei. Ricordo che non mi cercava quasi mai, ma capitava che dicesse, all’improvviso, frasi molto forti che non mi aspettavo.

Un giorno mi disse “più che dirti che ti penso sempre, cosa ti devo dire?”. Allora risposi “se mi pensi sempre, perché non mi cerchi mai?”. Tempo addietro mi rispose alla stessa domanda con “magari se ti cerco io, poi tu mi rifiuti”.

Questa volta abbassò la testa e disse “non ci riesco…”.

All’epoca, si parla di ormai vent’anni fa, non capivo esattamente perché. Oggi sono diversa. Ho fatto un percorso lungo dentro di me e ho imparato a conoscere meglio me stessa e comprendere maggiormente le persone da cui sono attirata.

Una sola parola: poesia. Questo è ciò da cui sono attirata. Quindi persone che, guardandole, mi trasmettono immagini poetiche, come se fossero appartenenti a un mondo lontano, di cui però, anch’io faccio parte. E non il mondo Asperger, ma uno dei mondi dove stanno le persone simili a me, poi probabilmente sono quasi tutte aspie, ma questo è marginale, potrebbero anche non esserlo.

Ma da cosa deriva la paura di deludere le aspettative? “Siamo arrivate fino a qui, ora tocca a te”. Ricordo che, quando toccava a me far qualcosa, andavo nel panico e, spesso, mi bloccavo. Tutti gli occhi erano puntati su di me, si aspettavano che facessi qualcosa che gli altri avevano già fatto. Ma come avrei dovuto farla? Uguale? Ma io non riuscivo, magari, a farla allo stesso modo. E se poi la facevo peggio? Avrebbero riso di me? Avrebbero detto che non sono capace?

Ecco da dove forse deriva.

La cosa bella del teatro, ad esempio, è che spesso ti dicono “non esiste un giusto o uno sbagliato”.

A scuola ci hanno cresciuti con il concetto di errore, quindi se facevi diversamente dal gruppo, sbagliavi; se andava molto male, la maestra o i professori ti sgridavano e la classe ti prendeva in giro.

Poi, sempre per il discorso aspie, dato che siamo su un blog che parla di vita dura per gli asperger in un mondo prevalentemente neurotipico, noi “sbagliavano” molto più spesso.

Una volta stavamo organizzando uno spettacolo con la scuola, ci stavano riprendendo e quando riguardammo il filmato in classe, si vedeva che io, dietro, dondolavo su me stessa, non stavo ferma. La prof mi umiliò davanti ai compagni, sostenendo che stessi facendo la stupida apposta. Oltretutto la prof di cui parlavo nei post precedenti, quindi ancora più doloroso come fraintendimento. Io non sapevo cosa dire, forse era vero, facevo la stupida, ma non mi sentivo di averlo fatto con quell’intenzione, perché nemmeno lo ricordavo. Uno dei mille episodi di questo tipo.

Adesso so che lo facevo per scaricare la tensione, perché eravamo fermi da non so quanto e non ce la facevo più.

Ma il vero teatro, quello che fa crescere emotivamente, oltre a far diventare attori, quello davvero artistico e non didattico o scolastico, ti insegna a essere te stesso. E quindi non esiste giusto o sbagliato. Esiste solo mettersi in gioco, uscire dalla zona di comfort, ma sempre in uno spazio protetto.

Quindi ora lo dico a te. Puoi osare essere te stessa, perché noi due siamo in uno spazio protetto, qualcosa che è solo nostro. Nessuno ti giudica e sei stata cercata così a lungo esattamente per come sei, non per come pensi che dovresti essere. Ieri ti ho scritto una cosa, ma non l’ho postata per paura di sovraccaricarti. Magari la metto qui sotto.

Nel passato, forse, ci sono state aspettative di comportamento quasi standard, ma non sono le mie, perché se tu fossi “come gli altri” non mi saresti interessata così tanto. Sicuramente hai un tuo modo di affrontare il “mondo reale” che non è giusto o sbagliato, perché per me sono concetti inesistenti, che rifiuto a priori.

L’unica certezza è che mi manchi e vorrei tanto abbracciarti, poi spero sia qualcosa che vorresti anche tu, altrimenti ci saranno altri modi per avere un contatto affettivo. Tu vai bene così, solo ti vorrei vicina, come sei e come vuoi.

E se siamo arrivate qui, immagino lo voglia anche tu. Quindi, sei al sicuro, perché io voglio solo te, così come vuoi essere e ti senti di fare. Ma senza trattenere le tue emozioni, perché quello fa male prima di tutto a te, nasconderti e reprimerti fa male a te, non osare danneggia te. Poi, di conseguenza me, ma prima di tutto sei tu a caricarti di emozioni represse che pesano e ti schiacciano, senza darti la libertà espressiva che ti spetterebbe e tu non ti dai.

Ognuno di noi ha diritto di essere se stesso e il fatto che questa società sia fatta male, non significa che bisogna dargliela vinta. Dobbiamo combattere per cambiarla, dobbiamo imporre il nostro essere differenti nel mondo, perché è un diritto che ci è stato negato troppo a lungo.

Ecco quello che ti ho scritto ieri:

Forse eravamo davvero destinate a trovarci, ogni cosa ha permesso che questo avvenisse. Ricordo di aver sentito un senso di familiarità immediato, come una sorta di gemella portata via alla nascita, una persona già legata a me in qualche modo. E ho avuto paura. Ma non sono scappata, sono rimasta. Poi ho sentito che l’intimità era troppo forte e arrivava da luoghi più lontani. Ci stavamo già cercando prima. In un mondo pieno di insidie, il richiamo verso le anime affini risuona su una frequenza difficile da percepire, finché non diventa un’urgenza di contatto troppo forte per restare terrena. Allora è come se infrangesse le regole della razionalità per andare nel luogo del non visibile, una sorta di “upside down” come in Stranger Things, ma bello, come un paradiso su una linea temporale leggermente diversa, un non-tempo. Una sospensione su cui viaggiamo e ci siamo solo noi, che ci cerchiamo sapendo di esserci. Ci hanno insegnato un linguaggio che non sempre ci appartiene, e come fanno gli animali, ci guardiamo da lontano, con i sensi cerchiamo di capire, più sentire, in verità.
E ora sento che non c’è più spazio per la vergogna, né per imbarazzi che non appartengono alla nostra linea temporale. Qui, dove siamo, in questa nebbiolina profumata di autunno, siamo al sicuro. C’è spazio solo per i sentimenti puri, per prendersi per mano, per un abbraccio nel tempo sospeso. C’è spazio solo per uno stato perenne di quiete e pace, per giocare insieme e tornare, con il nostro ritmo, nel tempo che inesorabilmente scorre, ma con la consapevolezza che potremo decidere di farlo trascorrere insieme, avendo cura l’una dell’altra.

 




 

 

giovedì 24 ottobre 2024

Angolo di approfondimento emotivo #1

 FOCUS:

[...Ricordo che la prof che mi piaceva e cercava di conquistarmi si ritrovò ad affrontare tutta una serie di opposizioni serrate e sfide ai limiti dell’assurdo, perché io volevo capire se ci tenesse davvero e quindi la mettevo alla prova in maniera estenuante. Studiavo a tratti, salvo poi avere il dono naturale per i temi (insegnava italiano). Un giorno mi disse “se hai scritto queste cose, allora un po’ di me ti fidi”, riferendosi a un tema sulla famiglia. Ricordo che, nel dirmelo, mi fermò prendendomi il braccio affettuosamente, mentre stavo scappando via con il mio bel voto. Voleva darmi un feedback e mi tirò a sé in questo modo. La cosa mi emozionò troppo e quindi la mia reazione fu aggressiva. Le risposi “è solo un tema, non si monti la testa che non mi fido di nessuno”. Inutile dire che ci rimase malissimo”...]

Ci terrei ad approfondire cosa successe dopo questo periodo… la prof in questione cercò, per quasi tutto il primo anno di superiori, di creare con me un rapporto che sembrava impossibile. Alla fine, si arrese e non provò più ad avere contatti. Il risultato fu che ci rimasi malissimo io e mi resi conto di quello che stavo perdendo. A cosa mi aveva portato tirare la corda fino a quel punto? Cosa mi era rimasto? Ora ero di nuovo sola con me stessa; nessuno era così interessato a quello che facevo come lei, nessuno voleva raggiungermi più di lei.

“Se tiri troppo la corda poi si rompe” pensai.

Avevo capito che potevo fidarmi, ma avevo voluto ugualmente esagerare, testare, mandare in tilt una persona che a me teneva davvero.

Il mio mutismo selettivo del “con te non parlo”, che poi semmai era davvero un blocco emotivo, aveva poco senso. La verità è che l’unica con cui avrei davvero voluto parlare era lei, ma non osavo. Invece perdevo tempo con parole e gesti non autentici, per sembrare ben inserita in classe dopo essere stata vittima dei bulli gli anni precedenti. Ogni mia energia veniva investita nel lavorare un personaggio che serviva solo a darmi l’illusione di essere vista. Ma nemmeno io mi vedevo, questo era il punto.

Solo questa prof mi vedeva, tra la folla era l’unica a cui importasse qualcosa. Ma siccome non capivo perché, non riuscivo a fidarmi. Ricordo che mi chiedevo “cosa c’è sotto? Perché proprio io? Vorrà accattivarsi l’alunna difficile della classe per far la figa con gli altri?”

Ho un intero diario di malefatte riguardanti quell’anno, e rileggendolo da adulta, oltre a trovarlo divertente, tipo Diario di Gianburrasca (che infatti mi ispirò all’epoca) l’ho trovato anche molto triste, nella sua totale lontananza da come mi ricordavo di essere in quel periodo. Non stavo bene, per niente. Dissimulavo. Ma dal diario non lo avresti mai immaginato.

Nessuno lo immaginava, soltanto alcuni erano più acuti, ma l’unica a cui importava della cosa era lei. Così finì l’anno scolastico con la prof che non mi cercava più e io che non ho memoria di quei tre mesi estivi. Ricordo soltanto che, il settembre successivo, ero completamente cambiata. Da oppositiva serrata, senza logica né scopo, mi ritrovai a rendermi conto di aver bisogno di dare e ricevere amore. Questa prof rimase incinta e si assentò quasi subito. Io cominciai a scriverle delle lettere e gliele spedivo a casa, a Milano. Lei cominciò a rispondermi e via via il rapporto iniziò a prendere forma. Mi disse che non aveva mai rinunciato a me, aveva solo sperato che capissi che potevo fidarmi e tornassi da lei. Iniziai ad andare a Milano a trovarla, talvolta con altri compagni, talvolta solo io. Andavo spesso e parlavamo per ore. Ero sempre molto emozionata di stare lì con lei, non avrei potuto farmi regalo migliore. Per lei divenni come una figlia, mi avrebbe detto successivamente. E fu una delle persone più importanti del mio difficile periodo di crescita. Parlando con lei, mese dopo mese, iniziai a conoscere meglio anche me stessa, a vivere una base di autenticità. Finalmente.

Questo è l’amore che cura, e se arriva non va mai rifiutato. Semplicemente capii che le piacevo, eravamo persone emotivamente molto simili e vicine. Tutto qui. Non c’era chissà che motivo arcano. E grazie a lei, poi ho capito che avrei potuto farlo anch’io per altre persone, perché mi aveva aperto una finestra su come volevo essere e come volevo vivere le relazioni con gli altri, ricercando sempre quella profondità negli anni a venire.

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Riflessione finale: ci sono dei momenti nella vita in cui i ruoli possono invertirsi, perché magari abbiamo bisogno di qualcosa che non abbiamo mai ricevuto fino in fondo, oppure ne abbiamo bisogno ancora. Mi è capitato poi di fare la parte dell’adulta con questa mia ex prof, così come mi è capitato di imparare da persone più piccole di me oppure di sentirmi figlia con un partner, o viceversa. Poi genitore con amici o parenti e via dicendo. A volte abbiamo bisogno di tornare a sentirci accuditi, bambini, per guarire ferite antiche. Magari verrà il momento in cui i ruoli potranno cambiare, persino invertirsi. Penso che ognuno di noi possegga varie parti che può dare e vari bisogni da ricevere, a seconda del periodo della propria vita. E trovo che questo ci possa rendere profondamente connessi e umani.

 


 

 

mercoledì 23 ottobre 2024

Chi sei tu per far questo? Nessuno dovrebbe mai toccare così la vita degli altri (terzo titolo alla Wertmuller)

Questo è un argomento che sapevo di dover trattare, ma l'ho evitato il più a lungo possibile, finché mi son resa conto che è necessario farlo, soprattutto in un blog di questo tipo. Già solo introdurlo mi fa sentire a disagio.

Giorni fa c’è stata la notizia di questo ragazzo che si è ucciso perché veniva ferocemente bullizzato dai compagni. Ho avuto il coraggio di leggere l'articolo dopo un po’, non a caso quindi parlo di ferocia. E ieri ho letto, invece, la testimonianza di un ragazzo più grande, ex bullo, che diceva chiaramente di ricordare gli occhi delle persone che prendeva di mira che lo imploravano di smetterla, pieni di dolore. Ora si è pentito. Va bene. Ma la vita rovinata chi la ripaga? Perché certe cose possono segnare, a volte per sempre.

Sono tendenzialmente d’accordo sul perdono di chi comprende cosa ha fatto e si pente davvero, anche se penso sarebbe utile rimettersi a posto con il proprio karma, diciamo, e controbilanciare aiutando qualcuno, facendo qualcosa per gli altri.

Il bullismo è un atto terribile, che distrugge la dignità di chi lo subisce. Ci sono ovviamente vari livelli. Dove andavo a scuola io, alle medie, i bulletti sfottevano tutti indiscriminatamente, calcando la mano con alcuni più timidi (tra cui me). Poi hanno smesso perché sono diventata come raccontavo nello scorso post, senza però trasformarmi mai in bulla a mia volta; al massimo davo qualche nomignolo scherzoso a compagni o professori, ma nessuno si è mai offeso (che io sappia). Fondamentalmente, nonostante il comportamento, mi facevo voler bene.

Ma tornando alle scuole medie, o ero invisibile oppure venivo presa di mira. Ma c’è un altro tipo di bullismo, ancora più feroce, secondo me, che viene fatto dalle bambine o ragazze (io ho visto questa cosa più nei gruppi femminili, anche lavorando a scuola dopo). In un certo senso, un bullismo più subdolo, ovvero farti credere di far parte del gruppo soltanto per prenderti in giro una volta che ti sei fidata. Faccio fatica a parlare di questo argomento anche perché non lo capisco benissimo. Non riesco a comprendere fino in fondo cosa possa spingere qualcuno a tormentare gli altri in questo modo.

SPOILER (parziali) su “Ben X”, “Carrie lo sguardo di Satana” e “La solitudine dei numeri primi”

Ci sono dei film che non riesco più a guardare, tipo “Ben X” e “La solitudine dei numeri primi”, perché le persone prese di mira soccombono e viene tanta rabbia che poi io fatico a gestire. Qualcosa di simile a quello che poteva aver provato Carrie White, per chi ha presente il film di Stephen King. Ovviamente, alla fine, esagera giusto un po’ nella reazione, ma come non capirla? Se vieni derisa per anni, senza alcun motivo, solo perché sei diversa dal gruppo, ma non avevi mai dato fastidio a nessuno, poi ti tirano in mezzo e scopri che sembra volessero solo metterti in ridicolo pubblicamente, dopo averti fatto credere di tenere a te, mi sembra il minimo simpatizzare per Carrie. Avrei tanto voluto avere quel dono, quando vedevo il film, a volte ancora lo sogno. Per carità, le stragi scolastiche non sono la soluzione, ma con la fantasia è tutto lecito.

Soffrendo così tanto per questi argomenti, ho capito cosa significa davvero avere cura di qualcuno a cui si tiene, mi si è sviluppato un fortissimo istinto protettivo e divento come una leonessa con i cuccioli, se mi tocchi qualcuno che amo.

Chi subisce bullismo può ritrovarsi, da grande, a non fidarsi più degli altri, a far fatica a raggiungere davvero un senso di intimità, per cui i danni possono essere incalcolabili, soprattutto per le persone autistiche. Spesso, ad esempio, gli aspie poi si chiudono, anche sensorialmente, ritirandosi dentro di sé perché non capiti, con la costante paura dell’umiliazione, del rifiuto, dell’incomprensione, del venir male interpretati. Tutto ciò che rendeva già differente una persona Asperger, si amplifica, rendendo le distanze dal “mondo reale” sempre più difficili da colmare.

E’ vero, il cosiddetto mondo reale è spesso una cocente delusione, soprattutto parlando di persone, ma esistono spiriti affini per tutti. Solo che, se una persona si chiude pensando che quello che è successo, in qualche contorto modo, potrà accadere di nuovo, non sarà più in grado di farsi raggiungere davvero nemmeno da chi sarà realmente onesto e puro nei suoi confronti.

Credo che il bullismo non finisca nel mondo adulto, purtroppo. Prosegue con la più classica delle cattiverie: parlare alle spalle. Talvolta deridere. Mi è capitato tantissime volte di sentire cattiverie assurde su altre persone, anche da amici che parlavano di altri amici o di fidanzati e fidanzate, parenti, conoscenti, colleghi ecc… ho cominciato a capire, negli anni, che un conto è parlare di qualcuno esprimendo opinioni e un altro è “parlare male”. Per me parlare male è dire cose con un piglio giudicante e, soprattutto, che il diretto interessato non immaginerebbe mai di sentirti dire. Allora ho cominciato a diffidare di chi lo fa, perché non mi piace e perché probabilmente significa che parleranno male anche di me quando non ci sono. Un conto è esprimere un’opinione, confrontarsi, un altro conto è massacrare qualcuno alle spalle. Ricordo questa parente, di cui non dico altro, che aveva una “migliore amica” di cui parlava sempre malissimo (probabilmente per invidia). Questa non è un’altra forma di bullismo? Secondo me sì.

Forse dovremmo tutti imparare a metterci nei panni altrui e smetterla di ferire chi non ci piace o non ci soddisfa in qualche modo. Se una persona non ci piace, non frequentiamola, se la invidiamo, cerchiamo di migliorarci, invece di comportarci da bulletti repressi.

Tutto qui. Questo argomento lo tratto con ancora molta difficoltà, ma ci sto lavorando e, magari, più avanti ne scriverò un po’ più lucidamente.

 


 

martedì 22 ottobre 2024

Oppositivo-provocatoria solo per amore (mancanza o paura)

 



In questo periodo sto cercando di mettermi molto in discussione, più del solito.

Stamattina sono stata da un ragazzino considerato oppositivo-provocatorio e mi sono nate delle riflessioni credo molto importanti. Prima di tutto sto realizzando che, se fossi nata dopo il 2000, avrei avuto sicuramente l’educatore anch’io. Un po’ perché avrebbero riconosciuto che ero Asperger (si vedeva parecchio, con il senno di poi) un po’ perché, appunto, dalla scuola media in poi ho sviluppato lo stesso problema.

Ho cominciato alle medie con l’opposizione, ma la vera manifestazione del disturbo è nata alle superiori. Il punto è che, ad esempio, il ragazzo di questa mattina, in confronto a come ero io, era tranquillissimo. Ma forse era soltanto un buon momento.

Non so perché avessi sempre pensato di essere “ribelle” e basta. Qualche anno fa ho incontrato una mia ex compagna che mi ha ricordato, senza giri di parole, che io a scuola ero “impossibile”.

Ero, a tratti, un incubo vero per certi professori, perché se, per qualche motivo, mi attivavano emotivamente (in negativo o positivo) ecco che iniziavo a diventare maleducata ed estremamente provocatoria. Capitava anche che mettessi in atto vere e proprie vendette, anche molto pesanti. Non è una parte facile da ricordare, perché la verità è che, dietro a quelle reazioni, si nascondeva una ragazzina che si sentiva sola, incazzata e smarrita.

Se mi piacevi, studiavo, se no non studiavo apposta per provocare. Ad esempio, diritto non lo studiavo mai perché non mi piaceva la prof, salvo poi recuperare con il debito l’intero anno scolastico in due mesi, solo per dimostrare (in realtà) che io facevo il cazzo che volevo (e fondamentalmente non volevo perdere i compagni).

Ricordo che la prof che mi piaceva e cercava di conquistarmi si ritrovò ad affrontare tutta una serie di opposizioni serrate e sfide ai limiti dell’assurdo, perché io volevo capire se ci tenesse davvero e quindi la mettevo alla prova in maniera estenuante. Studiavo a tratti, salvo poi avere il dono naturale per i temi (insegnava italiano). Un giorno mi disse “se hai scritto queste cose, allora un po’ di me ti fidi”, riferendosi a un tema sulla famiglia. Ricordo che, nel dirmelo, mi fermò prendendomi il braccio affettuosamente, mentre stavo scappando via con il mio bel voto. Voleva darmi un feedback e mi tirò a sé in questo modo. La cosa mi emozionò troppo e quindi la mia reazione fu aggressiva. Le risposi “è solo un tema, non si monti la testa che non mi fido di nessuno”. Inutile dire che ci rimase malissimo.

Dunque, da piccola pre-criminale in erba con tendenze ad andare più verso il Beccaria che l’Università, sono cresciuta e mi sono data gradualmente una calmata (non vorrei risultare ripetitiva, ma sempre grazie al teatro, oltre alla terapia junghiana di cinque anni).

Ma sono ancora così, in parte, e ultimamente lo sto mettendo meglio a fuoco. Sono ancora oppositiva (talvolta) e provocatoria (spesso). E mi piacciono frequentemente le persone che lo sono a loro volta, proprio per quello che si nasconde dietro e me le fa sentire più vicine delle altre.

Però analizziamo la parola provocazione: “provocare-azioni”.

Negli ultimi mesi, se ci sono state delle fasi provocatorie, è stato solo per suscitare una reazione nella persona che mi interessava. E l’azione sperata, nella fattispecie, era che questa persona venisse da me, mi parlasse, interagisse. Motivo più banale del mondo: mi mancava.

MAI ho provocato per ferire, giudicare, criticare o tentare di ridicolizzare. E nemmeno da ragazzina lo facevo per mettere in ridicolo o umiliare, perché non è nella mia natura. Io provocavo solo per motivi o affettivi oppure perché l’insegnante di turno era arrogante o freddo. Mai preso di mira gli insegnanti in difficoltà. MAI.

Ad esempio, una volta presi parte a un momento di casino assurdo, ma la prof era molto stressata e si mise a piangere a causa nostra. I miei compagni non si interessarono molto alla cosa, alcuni giudicarono la prof e altri superarono la questione lasciandosela semplicemente scivolare addosso. Io ci rimasi malissimo e mi sentii una merda per tutto il pomeriggio. Tant’è che la mattina dopo pregai mia madre di portarmi a scuola dieci minuti prima per poter andare a cercare questa prof e chiederle scusa, dato che ero una delle più scalmanate (anche perché la scuola mi annoiava molto). Quando la trovai e le chiesi scusa, lei rimase basita, come se fosse una delle cose più strane che le fossero mai successe (successivamente si creò anche un legame affettivo tra di noi). 

Quindi realizzai che non ero così stronza come pensavo, anzi. Solo che mi ci sentivo. La verità è che anche i ragazzi che seguo non lo sono quasi mai, ma molti non lo capiscono. Un conto è fare un’azione “cattiva” e un conto è essere cattivi davvero. C’è un enorme differenza, perché nel primo caso poi ci si sente male, in colpa, non a posto con se stessi.

Quindi, sempre rivolgendomi alla persona a cui penso di più da ormai sette mesi, io non ho mai voluto ferirti, giudicarti, tentare di farti sentire a disagio o umiliata in NESSUN modo, MAI. Te lo posso giurare sulla vita dei miei gatti. Forse ormai già l’hai capito, ma se in qualche tuo angolo remoto ci fosse ancora il dubbio che io abbia voluto provocarti per farti del male, NO, non è mai successo. Volevo solo invitarti a riflettere, probabilmente passando per arrogante, probabilmente facendoti sentire provocata, ma appunto, volevo provocare delle reazioni positive, che portassero a parlarci, vederci, non a farci la guerra. Non ho mai voluto questo, nemmeno una volta. Tu forse hai frainteso qualcosa, percependo intenzioni non reali, proprio perché, non vedendosi negli occhi, non parlando di persona, inevitabilmente sono cose che possono succedere. E siccome anche tu sei simile a me, in qualche modo, so che puoi capire cosa sto dicendo. Poi, semmai, hai già tutto chiaro adesso, ma meglio esplicitarlo in maniera più diretta.

Poi mi sono opposta molto, all’inizio, c’è stata anche questa parte, e con il senno di poi, ho sbagliato. Avrei dovuto essere meno rigida sulle mie posizioni, ma è andata così. Del resto, anche tu l’hai fatto. L’importante è capire bene cosa sia successo per potersi incontrare davvero come persone migliori. Non so se tu vorrai mai parlarne, ma penso sarebbe importante. Penso che potrei capire molto bene il tuo punto di vista, viceversa tu il mio.

E scrivendo queste cose, il legame che sento con te diventa ancora più profondo.

lunedì 21 ottobre 2024

Tre cose che vorrei dire in una calda sera di autunno (secondo titolo alla Wertmuller)

 


Oggi sono stata un po’ di tempo con un bambino autistico non verbale che aveva una stanzetta tutta per lui divisa in maniera meticolosa per zone.

“Lavoro da solo”

“Lavoro insieme”

“Relax”

“Gioco da solo”

E per ogni cosa c’era un armadietto diverso con sistemate le cose da poter utilizzare.

Attraverso la comunicazione aumentativa

(per chi non lo sa, questa cosa qui)

poi poteva scegliere che giochi fare o che lavori. Invece i lavori insieme si facevano con me o l’insegnante di sostegno sui vari quaderni.

 


C’era anche una tessera con disegnata una scatola e dentro la scatola c’erano dei giochi per lo stimming (ovvero auto-stimolanti per scaricare le emozioni, lo stress, la stanchezza ecc…)

(tipo questi)


Di queste cose ne ho anch’io a casa, anche se, solitamente, uso le penne (a scuola mi divertivo a smontarle e rimontarle all’infinito, soprattutto quelle con la molla, che talvolta finiva per terra e non la trovavo più).

Mi sono stancata pochissimo anch’io, lavorando con lui in modo così organizzato e scandito. Tipo c’era anche il momento giochi sensoriali (quelli che suonano e hanno le lucine) e quello della musica con le cuffie. Quindi forse è proprio l’essere troppo dispersivi che, a volte, stanca. Chissà… ci sarebbe una persona con cui ne parlerei molto volentieri, ma ora non so esattamente dove sia né come sta.

Poi c’è da dire che l’aspetto mentale legato al controllo fa molto. In passato, non essendo stata rispettata riguardo i miei tempi, la gestione dello stress e il sovraccarico emotivo e sensoriale (praticamente perpetuo) son cresciuta con il terrore di sentirmi in trappola, dentro situazioni dalle quali non posso uscire. Ma razionalizzando sto imparando a cambiare i collegamenti del mio cervello e riscriverli, perché so che ora decido io e gestisco io i miei tempi, modi e spazi. Se oggi sono stanca, domani pomeriggio cercherò di star tranquilla. Quando avrò teatro la sera, organizzerò la giornata in modo da poter riposare prima e dopo. Il controllo ora ce l’ho io, non subisco più decisioni altrui.

Apparentemente è slegato al contesto, ma vorrei affrontare altri argomenti che, forse, nascono anche da quello che ho provato questa mattina. Alla fine, questo blog è nato perché mi manca tantissimo una persona e spero che legga tutto quello che scrivo, anche se non ho nessuna certezza e questo mi fa soffrire sempre molto.

Poi sta diventando anche una sorta di diario telematico e potrebbe anche servire a qualcun altro leggere alcune riflessioni. O almeno spero.

Riflettevo sulla differenza tra accettare e accogliere. Spesso, negli ultimi anni, mi sono sentita dire “ti accetto come sei”, riguardo all’aver scoperto di essere Asperger. Ma a me suona tantissimo al confine con “ti sopporto”. Infatti, non mi è mai piaciuto come termine. Quando me lo hanno detto ho sentito dentro di me la risposta “e chi te l’ha chiesto?”.

Io non voglio essere accettata da nessuno. Lo trovo denigrante. 

Se provo qualcosa per qualcuno, se qualcuno mi piace e ci tengo, cerco di accogliere quella persona, non di accettarla, perché nessuno mi obbliga a starci. Accetto chi devo vedere per forza, magari qualche parente pesante che, se non fosse stato un membro assegnato della mia famiglia, probabilmente avrei evitato come la peste. E questo è il pensiero numero uno.

Il secondo è questo: il senso del pudore. L’argomento potrebbe diventare lunghissimo, ma siccome sono stanca, penso approfondirò poco. Sto imparando, parzialmente, a sintetizzare i concetti. Credo che il pudore, in certi casi, sia una conseguenza di come ci siamo sentiti durante la nostra vita, di come ci hanno trattati. Spesso si usava dire ai bambini “vergognati”. Ora succede meno, da quello che sento anche a scuola, sono termini che ho sentito usare solo da insegnanti anziani. E per fortuna, direi!

Quindi, se una persona è aspie e l’ha scoperto da grande, magari, crescere con questa esclamazione che ronza nelle orecchie non aiuta a lasciarsi raggiungere dagli altri. Io ci ho messo tanto a fidarmi del prossimo, a lasciarmi vedere e accogliere. Penso che, se non fosse stato per il teatro, non ci sarei mai riuscita.

Crescendo con questo senso di inadeguatezza e, di conseguenza, eccessivo pudore, poi creare fiducia diventa un’impresa quasi leggendaria. Ma “si può fare!” come diceva il dottor Frankenstein detto “Frankenstin”.

Ci vuole tantissima cura per far capire all’altra persona che certi “errori” sono sì gravi, ma anche sti cazzi, perché siamo umani e non sempre prestanti e perfetti (meno male). Si può sbagliare nella vita. Anzi, si deve, perché aiuta a conoscersi meglio. Anche se poi, a volte, si entra in delle spirali di senso di colpa assurde e si proietta sugli altri perché si è severissimi con se stessi, quindi si diventa poi distruttivi con tutto ciò che abbiamo intorno.

Ed ecco il punto tre di oggi: la proiezione.

“Se tu mi ricordi qualcosa di mio che non voglio vedere, non riesco ad affrontare o mi fa molto arrabbiare di me, posso difendermi proiettandolo su di te e prendendomela con te, salvo poi ritrovarmi l’effetto boomerang di aver colpito l’altro per non colpire me stesso, anche se avrei voluto prendermela con me fin dall’inizio". Ma il punto è che essere così severi con le proprie fragilità è un’ingiustizia che ci portiamo dietro probabilmente da anni è che dovrebbe cessare. Le ingiustizie devono finire, soprattutto contro se stessi. Se altri ci hanno fatto sentire male, ci hanno criticati ecc… non dobbiamo dare a queste persone un valore che non hanno avuto diventando come loro avrebbero voluto farci diventare (probabilmente anche qui loro proiettavano su di noi). Finiscono per diventare cicli di dolore infiniti che bisogna interrompere, e per farlo servono eventi dirompenti, talvolta.

Quindi ben venga se succedono apparenti casini monumentali, perché semmai, a sto giro, trovi la persona che ti accoglie e con cui puoi smettere di sentirti travolta dal pudore, il senso di colpa e la vergogna. Che poi sono tutte emozioni derivanti, nel 90% dei casi, dall’infanzia e l’adolescenza e che non hanno alcun motivo di tormentarci ancora nella vita adulta, che già è una jungla piena di insidie, almeno riuscire a sentirsi bene con se stessi, che sarebbe un enorme conquista.

Inoltre, concludo, ho in mente sempre questa persona con cui vorrei tanto parlare (fondamentalmente di tutto) e che non si rende forse conto di quanto possa piacere agli altri, perché è evidente che non è molto conscia di essere, prima di tutto, coraggiosa, e se mi parlerà le spiegherò anche perché lo penso, poi simpatica e molto dolce. Praticamente mi sono innamorata di lei dopo cinque minuti, perché mi ha fatto sentire euforica e ricordo di aver pensato “ma allora esisti”. Quella persona che, da bambina, cercavo disperatamente tra la folla di marmocchi urlanti a scuola e che non trovavo mai.

E ora che ti ho trovato e ho scoperto che non eri soltanto un personaggio di fantasia che trovavo solo nei libri e nei film, tu cosa fai? Scappi… ma ci sono voluti secoli per trovarci, magari mi cercavi pure tu. E ora, solo per un cavillo comportamentale o qualche idea preconcetta o chissà cos’altro, rimani nascosta come se fossi rimpiombata nel mio mondo della fantasia. Ma tu esisti! Quindi, ti prego, torna. Con i tuoi tempi, ma se ci tieni anche tu, torna. Io ti penso sempre e mi manchi tantissimo. Poniamo fine a questa agonia perché, secondo me, noi due ci meritiamo a vicenda.


 

 

sabato 19 ottobre 2024

Il mio cuore anarchico che si vuole autogestire come gli pare (titolo alla Wertmuller)

A volte cado dal pero, come si suol dire. Da sempre. Sarò caduta da questo dannato pero centinaia di volte.

“Ah, perché questo non si fa? Dici che non è propriamente consono alla situazione? Oooook…”

Non ho la concezione usuale di ciò che si può fare e ciò che no. Sono migliorata per “imitazione”, diciamo. Anche se, sotto molti aspetti, mi adeguo ma non condivido.

Esempio remoto. Ricordo che, in prima superiore, andammo in gita a Pisa e la mia prof preferita non venne all’ultimo per un impedimento. Ci rimasi male e le comprai una piccola Torre di Pisa nel negozio di souvenir. Una volta tornati a scuola, gliela porsi e lei disse, in modo quasi commosso, grazie. Io mi sentii investita di troppa emozione e risposi “va beh, per duemila lire”. Mi guardò attonita e poi disse “Laura, ma non si dice, dai!”.

Ma boh… perché non si dice? Non penso si aspettasse che l’avessi pagata di più, era minuscola (ai tempi le cose costavano molto meno, ora costerebbe tipo 5 euro).

Questo per dire che il senso di ciò che è conveniente dire e ciò che non lo è mi è sempre risultato ostico.

Questo era volutamente un esempio “all’acqua di rose”. Ovviamente, se avessi dovuto attenermi a qualche codice comportamentale, tipo collegio, penso sarei stata bocciata diecimila volte e sarei ancora là a tentare di uscire dalla maturità. Tra l’altro, uno dei miei sogni ricorrenti che mi tormentano.

Mi son sempre piaciute le persone come me, perché il dialogo veniva facile. Il problema era che, spesso, erano come me perché erano dei mezzi delinquenti a cui delle regole non importava nulla a priori. Ma a me le regole importano, se hanno senso. Se ci trovo una logica, le seguo anche volentieri, perché ne comprendo il fine. Della scuola, invece, comprendevo già poco il fine, figuriamoci i mezzi. Ci volevano tutti uguali, come soldatini perennemente in guerra di voti, pronti a prendere per il culo chi aveva fallito. A meno che uno non prendesse i propri fallimenti come motivo di orgoglio, ostentando i propri 3 e 4 come trofei di guerra.

Alla fine, la società, è tutta una questione di come ti giochi il tuo personaggio. Fondamentalmente è un gioco di ruolo.

Ma se trovi qualcuno con cui questo personaggio può andarsene a fanculo almeno per un po’, secondo me vale la pena di non perdere quella persona. Dietro la maschera cosa c’è? A me interessi tu, il nucleo che nascondi così gelosamente.

 

[ghost track]

"E se, per ipotesi, avessi capito tutto e mi andasse bene così? Se comprendessi anche il perché, più o meno, e fossi pronta ad accoglierti con tutte le difficoltà che puoi aver avuto? E se avessi ben chiaro che sei un essere umano, quindi che hai diritto ad avere momenti di fragilità senza per forza doverti sentire sbagliata? E se potessi toglierti finalmente tutti questi pesi dalle spalle e rilassarti? Se fossi autorizzata a farlo, non lo vorresti finalmente fare? Per me è tutto ok. Per te? A questo punto l’unica autorizzazione che manca è la tua."

Io vorrei tanto poter aver cura di te e della parte più bella che nascondi, ma che io ho intravisto e non riesco più a scordare.

 

 


 

 

 

venerdì 18 ottobre 2024

La ricerca degli spiriti affini

Stamattina mi sono svegliata e ho sentito come se tutti i pezzi si stessero rimettendo insieme, quasi per magia, come quando Mago Merlino rimetteva a posto la cucina per aiutare Semola. Tutte le parti della mia storia hanno cominciato a prendere il volo e a ricomporsi. 

Fin da bambina ho cercato il contatto con gli altri, ma c’era in me qualcosa di diverso; non perché volessi sentirmi diversa o speciale, c’era mio malgrado. Sentivo che volevo trovare persone simili a me, ma le trovavo nei posti e nei ruoli più disparati. Mi sono avvicinata a tante donne che, in qualche modo, mi rispecchiavano. Spesso erano molto più grandi, perché ricercavo la figura materna, ma erano simili a me, in qualche strano modo. Ci sono voluti anni per capire come mai. 

Finché, nel 2013, scoprii grazie al confronto con una di loro, che ero nello spettro autistico. Sindrome di Asperger. Neurologia aspie. Insomma, in quel momento tutto cominciò ad avere più senso, ma le tessere del puzzle erano ancora sparse in giro. Sto cominciando ora, dopo più di dieci anni, a riuscire ad avere un quadro più equilibrato del tutto. Quindi ho sempre ricercato me stessa in altre donne che, con il senno di poi, erano probabilmente asperger come me. Ma non lo sapevano. Tranne una, lei lo sa. Ed è forse per questo che il quadro sta diventando più nitido, come se fossi arrivata a una sorta di traguardo di questa sfiancante ricerca, anche se non so ancora esattamente in che modo. Ma ovvio, non esiste mai fine in nulla, ogni cosa è in divenire, sempre. 

Da qui comincerà una nuova fase? Possibile. Fatto sta che le riflessioni si stanno facendo, mano a mano, più sottili e specifiche. E’ molto difficile trovare persone davvero simili a noi, che ci possano corrispondere e capire a livello profondo, senza doversi sforzare sempre in maniera estenuante. Questo vale per tutti. Ma se la maggioranza della gente è neurotipica, allora significa che per i neurotipici, con tutte le loro differenze, è più facile trovarsi come spiriti affini. 

Per gli asperger? Molto meno facile. Perché? Perché siamo di meno. Perché siamo spesso chiusi in noi stessi, a causa delle mille incomprensioni di cui parlavo nei post precedenti. Perché molti dissimulano fino a non sapere più chi sono e cosa vogliono davvero. E le donne? Ancora peggio. Perché le donne dissimulano il doppio, forse il triplo. E ho pensato a quando c’entri proprio il ruolo della donna, che in generale si auto-penalizza a causa del trattamento ricevuto nel corso della storia dell’umanità e da cui ancora non siamo uscite. Quindi, se una donna è asperger e si sente diversa fin da piccola, cercherà di fare di tutto per funzionare come le altre bambine, non riuscendoci o riuscendoci troppo, oppure mollando gli ormeggi e dicendo “andate tutti a fanculo” e diventando una disadattata sociale. 

(Sotto posterò il link a un video di Tony Attwood che parla proprio di questo) 

Quindi è tristemente normale sentirsi sole in tutto questo. Io so perfettamente come ci si sente e capisco benissimo qualunque comportamento adattivo, magari considerato disfunzionale, che altre donne aspie possono mettere in atto. E’ terribilmente ingiusto quello che ci è successo, perché oltre alle consuete difficoltà a cui vanno incontro le donne in generale, noi ci siamo anche dovute accollare il senso di costante smarrimento di doverci adattare in un mondo neurotipico, tendenzialmente patriarcale (soprattutto per chi è nato prima del 2000, negli ultimi anni sono migliorati degli aspetti) fingendo che andasse tutto bene, quando non andava bene praticamente nulla e non sapendo nemmeno spiegare cosa non andasse bene e perché. 

In conclusione, ritengo del tutto comprensibile che, talvolta, alcune situazioni possano ingarbugliarsi tantissimo proprio perché non ci si aspettava più che qualcosa di bello potesse succederci, ad un certo punto si sente di non meritarsi nulla di autentico, proprio perché non lo abbiamo quasi mai avuto. Come se ci colpevolizzassimo di quello che siamo e ci ritenessimo responsabili delle nostre difficoltà.

Non lo siamo. 

La società deve cambiare e dobbiamo lottare per far sì che le bambine del futuro non si sentano più come ci siamo sentite noi. E dovremmo farlo insieme, per rendere il mondo un posto migliore anche per noi.

 

Ecco il link al video: Tony Attwood - Asperger al femminile e comorbidità 

 


 

Incomunicabilità

Le persone aspie si ritrovano scaraventate in un mondo con regole che non capiscono in maniera automatica, sentendosi dal principio “pesci f...